Gl’inganni felici, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Camera con letto.
 
 ALCESTE assiso sul letto
 
 ALCESTE
 
    Come puoi soffrir, mio core,
940tanto duol, tanti tormenti?
 
    Certo stupido ti ha reso
 l’aspro peso del dolore.
 Egli è troppo e tu nol senti.
 
 No, che tutto non senti
945l’affanno mio che già t’ha tolto il senso,
 per troppa crudeltà fatto pietoso;
 così infermo, cui strugga
 nel furioso ardor le aduste vene
 febbre troppo maligna, ebro delira;
950e tutte rivolgendo
 le piume, impaziente,
 più agitato dal mal meno lo sente.
 Ma merta un infedele
 tanti sospiri? A che divido l’alma
955per un crudel tra lagrime e singhiozzi?
 Ah, che non piango lui; piango me stessa;
 piango la rotta fé, l’onor perduto;
 quest’ultimo mio pianto
 a sì giusta cagion solo è dovuto.
 
960   Pupille, lagrimate,
 dolenti mie pupille;
 
    e lagrimate tanto,
 infin che tutta in pianto
 quest’alma si distille. (Sviene sul letto)
 
 SCENA II
 
 AGARISTA ed ALCESTE svenuto
 
 AGARISTA
965Alceste, Alceste? In su le molli piume
 tacito o posa o dorme; e mesto parmi
 che dal duol non respiri ancor dormendo.
 Folto nembo di pianti
 cade dagli occhi, ancorché chiusi, e irriga
970i pallori del volto.
 ALCESTE
 Oronta, Oronta, e vivi ancor?
 AGARISTA
                                                       Che ascolto!
 ALCESTE
 Chiudi gli occhi per sempre. A che più aprirli
 a immagini funeste?
 A te sempre è infelice
975ed il nome di Oronta e quel di Alceste.
 AGARISTA
 Tanto duol fa pietà.
 ALCESTE
                                      Che veggio? Oh dio! (Alceste, alzando gl’occhi e veduta Agarista, tosto risorge)
 Principessa, tu qui?
 AGARISTA
                                       Fammi palese,
 Oronta, il tuo dolor.
 ALCESTE
                                       (Certo m’intese).
 AGARISTA
 A che sesso mentir? Che più celarti
980a chi tutto il suo cor t’ha già svelato?
 Chiuso mal s’inasprisce.
 ALCESTE
 Ma scoprirlo non val, s’è disperato.
 AGARISTA
 Tale il fingi a te stessa
 e mi offendi, se taci.
 ALCESTE
                                        Eccomi pronta.
985Ma finirà, e il desio,
 col racconto dolente il viver mio.
 Oronta io son, prole infelice e sola
 al tessalo monarca. Alla mia reggia
 venne Orgonte di Tracia. Un sol suo sguardo
990rubbommi affetti e core
 e col nome di sposo, oh dio!, l’onore.
 Poi fuggì; dell’ingrato
 tosto l’orme seguii. mentito il sesso,
 e trovai l’incostante
995d’altra beltate in altra reggia amante.
 Vedi s’è giusto il duol.
 AGARISTA
                                           Sperar ti giovi.
 Forse un giorno vedrai l’infido Orgonte
 o punito o pentito.
 ALCESTE
 Si penta, sì; non brama il mio tormento
1000la morte del crudel ma il pentimento.
 AGARISTA
 Tu a divertirti alquanto
 dalle cure noiose,
 alla caccia vicina omai ti appresta.
 ALCESTE
 Purtroppo del mio sen, veltri spietati,
1005fan l’aspre doglie mie caccia funesta.
 AGARISTA
 
    In amore a’ godimenti
 non si va che co’ tormenti.
 
    Soffrirai, penerai.
 Poi del mal l’aspra memoria
1010sarà al giubilo tuo diletto e gloria.
 
 ALCESTE
 Cedo a’ consigli tuoi.
 Solo dell’esser mio la sorte e il grado
 taci; la mia onestà così richiede.
 AGARISTA
 Questo bacio ti sia pegno di fede. (Si baciano e partono abbracciate)
 
 
 SCENA III
 
 ARMIDORO
 
 ARMIDORO
1015Pegno di fede un bacio! Occhi ’l vedeste?
 E lo diede Agarista? E l’ebbe Alceste?
 Una sposa, un amico
 mi han tradito così? Dunque io dovea
 la chiarezza oscurar del sangue mio
1020con gl’imenei di una beltate impura?
 Sorte fu ciò che vidi e non sciagura.
 Tu ricalcitri, o cor? Tu le tue fiamme
 con quelle del mio sdegno ancor bilanci?
 Sento che vincer vuoi; né ben a tanta
1025perdita sai risolverti e ti piace
 ancor di amante, ancor di amico il nome.
 Ma confonder ti voglio,
 se vincer non ti posso. Ecco mi accingo
 a portar lunge il piè da queste soglie,
1030per non mirar più mai
 un empio amico, una lasciva moglie.
 
    Di oscure foreste,
 di sorde tempeste
 la fierezza tenterò.
 
1035   E vedrò
 di un amico sì crudele,
 di una sposa sì infedele
 per me oggetto meno acerbo
 farsi l’orride belve e il mar superbo.
 
 SCENA IV
 
 Bosco.
 
 SIFALCE con guerrieri
 
 SIFALCE
1040Questo è il loco ove attendo,
 cacciatore amoroso,
 quella, di cui son preda,
 mia bellissima fiera. Ove più folta
 nega l’ombra selvaggia adito al sole,
1045taciturni e nascosti,
 l’attenderemo al varco; e allor che giunga,
 cader l’irsute chiome
 vedremo al bosco e a questi orrori intorno
 nascer da que’ begli occhi
1050non conosciuto o non atteso il giorno.
 
    La beltà, che mi ha rapito,
 fra quest’ombre io rapirò.
 
    Con più rischio un vello d’oro
 già da Colco altri portò.
 
1055   Un più ricco e bel tesoro
 oggi forse al greco lito
 con più gloria involerò. (Si ritira nel bosco)
 
 SCENA V
 
 BRENNO con cani e cacciatori
 
 BRENNO
 Prenda ognuno il suo posto
 ed i miei cenni osservi.
1060Tu qui, Aiace; qui, o Silvio; e tu, Tersandro,
 ove vai? Qui ti ferma
 e fa’ che non ti fugga il mio Melampo.
 
    Il posto serbate,
 le reti tendete,
1065i cani guardate.
 Servite; tacete.
 
 Tutto è in ordine omai. Ben mi avvegg’io
 che una caccia a dispor non v’è un par mio. (Prende il suo posto)
 
 SCENA VI
 
 AGARISTA ed ORONTA da donna e BRENNO
 
 AGARISTA
 Insoliti accidenti; ed è Sifalce
1070il principe di Tracia?
 ALCESTE
                                         Il tuo bel volto
 può servir sol di scusa a quell’infido;
 e il difendo così dentro al mio core;
 è forza per quel volto arder d’amore.
 AGARISTA
 O sia che del tuo duolo
1075la pietà mi rattristi, o sia che questi
 solitari silenzi,
 rotti sol da’ latrati
 de’ famelici alani e sol dagli urli
 delle belve addentate,
1080sian fomento all’orrore, o che lo spirto
 di vicin mal presago
 lo voglia anticipar col suo spavento,
 non so perché, l’alma languir mi sento.
 ALCESTE
 Così cerchi Armidoro; e l’occhio forse,
1085che il rintraccia e nol vede,
 ne avvisa il core e il core all’alma il chiede.
 AGARISTA
 
    Ho il core oppresso,
 perché non so.
 
    Forse il destino,
1090per più piagarmi,
 gode celarmi
 quel braccio stesso
 che mi piagò.
 
 SCENA VII
 
 SIFALCE con guerrieri e i suddetti
 
 SIFALCE
 Ecco il tempo opportuno. (A’ suoi soldati)
1095Perdasi ogni riguardo. (Afferra improvvisamente Agarista)
 AGARISTA
 Oimè!
 BRENNO
                Coraggio amici. (Combattono e poi fuggono li soldati di Agarista)
 ORONTA
                                               Ah, traditore! (Oronta trattiene Sifalce ed esso, rispingendola senza mai guardarla, va ritirandosi nel bosco)
 SIFALCE
 Oh dolce peso. Al lito
 tosto con grande acquisto.
 AGARISTA
                                                  E dove, iniquo?
 ORONTA
 Ma pure... Ferma. (Come sopra)
 BRENNO
                                     Io volo
1100col mesto avviso al genitor dolente. (Si parte)
 AGARISTA
 Oh dio! Padre, Armidoro,
 chi mi aita?
 ORONTA
                         Deh, arresta. (Lo ferma come sopra)
 SIFALCE
 Debole inciampo. (La rispinge senza guardarla)
 ORONTA
                                    Almeno
 guarda chi lasci. Forse
1105ti spiacerà di non avermi uccisa.
 Né mi bada, il crudel, né mi ravvisa.
 O vibra il ferro o me conduci ancora.
 SIFALCE
 Più tollerar non posso.
 Esser può di periglio ogni dimora. (Sifalce, nell’uscir dal bosco, trattenuto da Oronta, rivolgendosi con furia l’urta e la getta in terra e poi si parta. Oronta resta in terra tramortita)
 
 SCENA VIII
 
 CLISTENE, ARBANTE, BRENNO ed ORONTA tramortita
 
 ARBANTE
1110Chi tanto osò?
 BRENNO
                             La figlia
 qui ti fu tolta.
 CLISTENE
                            Ecco il terreno asperso,
 oh dio! di sangue.
 ARBANTE
                                    Io, sire,
 seguirò il traditore. A me confida
 le tue vendette ed al valor de’ miei.
 BRENNO
1115A dirti il vero, io non mi fiderei. (A Clistene)
 CLISTENE
 Va’, generoso Arbante.
 Poso sul tuo valor.
 ARBANTE
                                    Fia ben che tosto
 tu la figlia riveda.
 (Così ripongo in sicurtà la preda). (Si parte co’ suoi guerrieri)
 
 SCENA IX
 
 CLISTENE, BRENNO e ORONTA
 
 CLISTENE
1120Cieli, a pietà vi mova
 il mio crudel dolor...
 ORONTA
 Clistene, al ciel che spargi
 inutili querele? Il pianto fia
 di una femmina vil, non d’un re forte,
1125ne’ casi estremi antidoto ozioso.
 CLISTENE
 Chi sei?
 ORONTA
                   Su, tosto al lito
 manda armate falangi e fa’ che tosto
 fiedano il seno a Teti
 contro il trace rattore i greci abeti.
 BRENNO
1130Ecco un novello imbroglio.
 CLISTENE
 Come! Il trace rattor?
 ORONTA
                                          Sì, che dal trace
 vengono i tradimenti. In quel Sifalce
 sta ascosto il figlio al re de’ Traci, Orgonte.
 CLISTENE
 Ed io, misero, al trace
1135me stesso confidai.
 BRENNO
                                      Sempre il dicea
 che quel ceffo di spia non mi piacea.
 CLISTENE
 Come il sai?
 ORONTA
                          Pochi indugi
 fan certa la tua perdita. Che badi?
 CLISTENE
 Ite in Elide e voli
1140tosto al lido ogni armato; escan dal porto
 i corredati legni.
 Se la figlia è perduta, anch’io son morto.
 
    Parche, troncate
 il mio vivere per pietà.
 
1145   Se mi serbate
 per tante pene,
 per me la vita
 non è più bene
 ma crudeltà.
 
 SCENA X
 
 ORONTA
 
 ORONTA
1150Andiamo, occhi dolenti,
 a dar gli ultimi pianti
 sol per vostro sollevo al lido asciutto.
 Forse dell’infedel potrem nel guardo
 incontrar chi me uccida e a voi risparmi
1155un lagrimar più lungo; o forse il mare
 fia che al lido il rispinga,
 non perché di un sospir, di un pianto solo
 egli onori il mio duolo
 ma perché con un colpo
1160termini la mia morte e poi mi lasci,
 lordo ancor del mio sangue,
 in su l’arene ombra insepolta, esangue.
 
    Il morir mi sarà grato,
 se mi uccide il fier che adoro.
 
1165   E spirando a lui dinante
 l’alma amante,
 potrò dirgli almeno: «Ingrato,
 per te vissi e per te moro».
 
 SCENA XI
 
 Strada montuosa che guida alla spiaggia del mare.
 
 ARMIDORO con seguito de’ suoi alla greca
 
 ARMIDORO
 Pur dall’infame tetto,
1170da’ sacrileghi muri, e pur son lungi
 dall’impura Agarista,
 dal mentitore Alceste; e sol son meco,
 arbitri del mio core,
 pentimento e furore.
1175Deh, Agarista, deh, Alceste,
 nomi per me fatali
 di memorie funeste,
 ah, perché non poss’io
 ad onta del mio duol porvi in obblio?
 
1180   L’alma mia si scuote invano
 per tornare in libertà.
 
    Dico al core: «Infrangi i lacci»;
 ei risponde che non sa.
 Dico all’ira: «Amor si scacci»;
1185ella il tenta e poi nol fa.
 
 SCENA XII
 
 SIFALCE con guerrieri, AGARISTA ed ARMIDORO in disparte
 
 SIFALCE
 Di che temi? Che piangi?
 AGARISTA
                                                 Ancor, vil alma,
 tenti gli affanni miei.
 ARMIDORO
                                          Cieli, che miro!
 AGARISTA
 Se non vuoi che mi affligga, a me nascondi
 l’odiosa tua fronte.
 SIFALCE
1190Co’ baci un dì vendicherò quest’onte.
 
    Meco crudel così
 non sarai sempre.
 
 AGARISTA
 
    Vorrei svenarmi,
 se mai credessi
1195teco placarmi.
 Ti fuggirò,
 ti abborrirò
 né cangerò mai tempre.
 
 SIFALCE
 Parmi che Arbante tardi. Io qui fomento
1200con l’indugio i miei rischi. Andiam, mio bene.
 AGARISTA
 Parli a un tronco o ad un sasso?
 SIFALCE
                                                           Al voler mio
 chi sottrarti oserà? (Afferrandola per condurla al mare)
 AGARISTA
                                      Deh, chi mi aita?
 ARMIDORO
 Benché nol merti, a tuo favor son io. (Avanzandosi verso Agarista)
 AGARISTA
 Oh caro difensore!
 SIFALCE
                                     Oh fiero oggetto!
 ARMIDORO
1205Dove imparasti, uom vile,
 a rapir principesse?
 SIFALCE
 Menti; uom vile tu sei né i miei natali
 sono men che reali.
 ARMIDORO
 Nacqui principe anch’io; stringe in Atene
1210scettro gemmato il genitor Clearco.
 SIFALCE
 Dunque all’armi.
 ARMIDORO
                                  Son pronto.
 SIFALCE
                                                          Alcun sì ardito (A’ suoi soldati)
 non fia che turbi ’l mio cimento. Io tutto
 dell’illustre vittoria
 voglio il merito sol, voglio la gloria.
1215Custodite Agarista
 in premio al vincitor.
 ARMIDORO
                                          Così desio.
 AGARISTA
 (Se non vince Armidor, morta son io). (Si battono)
 SIFALCE
 (Quanto è forte costui!) Posiamo alquanto. (Si ritira un passo addietro)
 ARMIDORO
 Sinch’io non vinca o perda,
1220non so depor la spada. (Torna ad assalirlo)
 SIFALCE
 Ma forza alfin sarà che al suol tu cada. (Tornano a battersi)
 ARMIDORO
 Pur sei vinto. (Cade Sifalce ferito)
 SIFALCE
                             Due volte,
 sia fato o tua virtù, meco pugnando,
 invitto trionfasti,
1225col braccio atleta e cavalier col brando.
 ARMIDORO
 Agarista è pur mia?
 SIFALCE
                                       Forza di fato.
 AGARISTA
 Sì, Armidoro, son tua; tu mio sarai.
 Non mi rispondi?
 ARMIDORO
                                    Meco
 vieni, infedele, e non parlarmi mai.
 AGARISTA
 
1230   A me infedel? Perché?
 
 ARMIDORO
 
 Non mi parlar.
 
 AGARISTA
 
    S’è tua quest’alma,
 tuo questo core,
 di qual errore
1235mi puoi sgridar?
 
 SCENA XIII
 
 SIFALCE ferito
 
 SIFALCE
 Con l’acciaro nimico
 punì ’l ciel le mie colpe. Il sangue mio
 mi rinfaccia delitti e vergognosa
 così l’alma sen fugge e mi abbandona.
1240Oronta al cor risuona
 miserabile spettro, ombra infelice,
 da me amata e tradita.
 Oh memoria crudele!
 Tu mi dai morte e non il ferro e sento
1245in te, non nella piaga, il mio tormento.
 Ma già manca lo spirto,
 vacilla il piè, l’occhio si oscura e tutto
 il giorno mi tramonta. (Cade)
 Col mio morir sei vendicata, Oronta.
 
 SCENA XIV
 
 ARBANTE e SIFALCE caduto
 
 ARBANTE
 
1250   Tosto il lino aprasi a’ venti.
 Sotto il pino frema l’onda,
 fugga il lito e a noi s’asconda...
 
 Ma che veggio! Qual sangue
 han bevuto l’arene? Orgonte, Orgonte,
1255tu piagato? Tu estinto?
 Qual ferro osò cotanto? Ed impunito
 è il traditor fuggito?
 Ah cada pria l’empio uccisor esangue;
 poscia col pianto mio spargasi ’l sangue.
 SIFALCE
1260Deh, mio Arbante.
 ARBANTE
                                     Mio prence.
 SIFALCE
 Questi ultimi miei preghi
 non lasciar che sian vani.
 Dell’uccisor rivale
 l’orme non inseguir. Viva egli in pace.
1265Aggiungi alla mia morte
 pene, se tu l’uccidi. Ah, non lasciarmi
 ch’io passi la funesta
 riva di Flegetonte, ombra più mesta.
 ARBANTE
 Mi è legge il tuo voler. Coraggio, Orgonte.
 
 SCENA XV
 
 ORONTA e i suddetti
 
 ORONTA
1270Oimè! Che oggetto è questo?
 Non è quello il sembiante... (Corre e si getta sopra il corpo di Sifalce)
 Sì, ch’egli è desso. Orgonte, anima mia,
 volea stringerti un giorno
 ma tal non ti volea. Ditemi, oh cieli,
1275cieli troppo inclementi!
 vi chiesero mai questo i miei lamenti?
 Ah, che pria dalle fauci
 io strappata mi avrei l’infame lingua.
 ARBANTE
 Crescon le pene mie nel duolo altrui.
 ORONTA
1280Oh volto, oh petto, in cui
 son io piagata! Oh sangue,
 con cui mi uscì lo spirto! Ah, crudo ferro
 ch’hai questo sen trafitto!
 Vieni, anche il mio trafigi. Alla mia destra
1285così risparmierai forse un delitto.
 SIFALCE
 Oh dio!
 ARBANTE
                  Spira per anco.
 ORONTA
                                                E trattenuta
 i miei caldi sospiri han la fredd’alma.
 Ma tempo non è questo
 di un inutil dolor. Di terra, amici,
1290sollevatelo alquanto. Ecco, alla piaga (Arbante solleva di terra Sifalce ed Oronta, sostenendolo con una mano, con l’altra li lega al petto un anello)
 applico questa pietra,
 cui dier forza le stelle
 di stagnar tosto il sangue,
 di rincorar gl’inermi spirti.
 ARBANTE
                                                    Ed ecco
1295ch’ei le languide luci apre e respira.
 SIFALCE
 Son questi della morte
 forse i torbidi regni?
 ARBANTE
                                         Egli delira.
 SIFALCE
 Questa forse di Oronta è la sembianza
 che mi rinfaccia i tradimenti e l’onte?
 ORONTA
1300Oh delirio gradito!
 SIFALCE
 Oh, troppo a me fedel, troppo ingannata
 bell’ombra, eccoti Orgonte alfin pentito.
 ORONTA
 Caro Orgonte, vaneggi. Ancor tu vivi,
 non so se per fuggirmi o per bearmi.
1305Tu vivi e, se nol credi, il sol rimira
 pallido a’ tuoi pallori.
 Senti l’aura che geme,
 mossa da’ tuoi respiri,
 scossa da’ miei sospiri; è quello il lido
1310d’Elide e questo è Arbante
 che ti sostien pietoso. Io sono Oronta,
 non ispirto, non ombra; e se nol credi,
 questa man tel confermi,
 che non han tatto l’ombre o i nudi spirti. (Gli dà la mano)
 SIFALCE
1315Son vivo? Il credo; il sento
 a’ tuoi begli occhi e nel mio fier tormento.
 Abborrirei la vita,
 se non fosse tuo dono.
 Vivrò, mia cara Oronta,
1320vivrò ma per amarti e perché il pianto
 l’offese che ti feci un dì cancelli.
 ORONTA
 Voglio affetto e non pianto, occhi miei belli.
 ARBANTE
 Sorger miro da lungi
 folti nembi di polve. Ad ogni rischio
1325la fuga ci sottragga.
 ORONTA
                                      Io nulla temo.
 Andiam pur nella reggia,
 dall’amor di Agarista
 io mi prometto ogni perdono.
 SIFALCE
                                                        Andiamo.
 ORONTA
 Ti seguo, o caro; e tu sostienlo, Arbante.
 ORONTA e SIFALCE A DUE
1330Finito ha di penar l’anima amante.
 SIFALCE
 
    Perché ognor ti viva in petto,
 io ti rendo il cor già tolto.
 
    Sento e vedo il mio diletto
 nel tuo seno e nel tuo volto.
 
 ALCESTE
 
1335   Tu mi rendi il core amante
 e il mio cor ti rendo anch’io.
 
    Ma io ritrovo il tuo incostante
 e fedel tu trovi il mio.
 
 SCENA XVI
 
 Sala regia.
 
 CLISTENE
 
 CLISTENE
 Sommo Giove, al cui tempio
1340per me splendono l’are
 e ognor fumano accensi
 da corteccie sabee succhi ed incensi,
 pietà ti mova un genitor languente;
 rendimi tu la figlia
1345e ritorna la pace a un re dolente.
 
    Concedimi ch’io trovi
 la figlia a me sì cara.
 
    La morte io non pavento;
 ma con sì gran tormento
1350la morte è troppo amara.
 
 SCENA XVII
 
 BRENNO e CLISTENE
 
 BRENNO
 Allegrezza, allegrezza.
 È vicina la figlia.
 CLISTENE
                                  Ov’è? Ma come?
 Chi vien seco? Oh gran Giove!
 BRENNO
 Lo fa impazzir la troppa contentezza.
1355Allegrezza, allegrezza.
 
 SCENA XVIII
 
 ARMIDORO, AGARISTA e i suddetti
 
 AGARISTA
 Che ti turba? Che feci? In che peccai?
 ARMIDORO
 Vieni, infedele, e non parlarmi mai.
 CLISTENE
 Figlia, pur ti riveggio. E qual buon nume
 ti sottrasse a quegli empi?
 AGARISTA
                                                   Ei fu Armidoro,
1360il mio bene, il mio sposo.
 ARMIDORO
                                                Io ti detesto
 quanto prima ti amai.
 CLISTENE
                                           Demetrio è questo!
 ARMIDORO
 Sì, Demetrio son io. Sposo dovea
 esser alla tua figlia; e già fu tempo
 che l’amai, che la chiesi e l’acquistai...
1365Ora l’odio, or la fugo.
 CLISTENE, AGARISTA A DUE
                                         E perché mai?
 ARMIDORO
 Chiedilo all’opre tue.
 AGARISTA
                                         Sono innocente.
 ARMIDORO
 «Questo bacio ti fia pegno di fede?»
 E l’ebbe Alceste ed Agarista il diede.
 AGARISTA
 Oh vana gelosia!
 ARMIDORO
                                 Par poco un bacio
1370al labbro che lo impronta?
 AGARISTA
 Diedi un bacio ad Alceste e l’ebbe Oronta.
 ARMIDORO, CLISTENE A DUE
 Che, Oronta?
 BRENNO
                            Alfin da tante risse io veggio
 nascer più cara pace.
 AGARISTA
                                         Alceste è donna,
 principessa qual io,
1375figlia al tessalo re, per nome Oronta.
 ARMIDORO
 Fole son queste. E perché qui nascosta
 sotto abito virile?
 AGARISTA
 Per seguir di Sifalce
 o di Orgonte più tosto, il tracio prence
1380in Sifalce celato,
 che tradita l’avea, l’orme infedeli.
 CLISTENE
 Respiro.
 ARMIDORO
                   E dici il vero?
 BRENNO
 Tutto vi posso anch’io
 in parola giurar di cavaliero.
 CLISTENE
1385Innocente è la figlia.
 ARMIDORO
 A torto sospettai, perdona, o cara.
 AGARISTA
 
    Ti voglio ben amante
 ma non così geloso.
 
    Di ogni sguardo che volgerò,
1390di ogni bacio che dar potrò,
 non turbarti, dolce mio sposo.
 
 SCENA ULTIMA
 
 ORONTA, SIFALCE, ARBANTE e i suddetti
 
 ORONTA
 Principessa, a’ tuoi piedi eccoti Oronta.
 Per mia bocca già Orgonte,
 or mio sposo e pentito, e seco Arbante
1395ti chiedono perdon de’ lor delitti;
 e al real genitor per me tu il chiedi.
 AGARISTA
 Amica Oronta, un dì sì lieto e caro
 non si turbi dagli odi; e tu, mio padre,
 perdona, io te ne prego,
1400agli errori di Orgonte e a quei di Arbante.
 CLISTENE
 Agarista, non più. Basta un tuo prego,
 basta il merto di Oronta
 a vincer del mio sen tutti i rancori;
 né giusto è che lo sdegno
1405venga a turbar così felici amori.
 SIFALCE
 Dalle tue grazie vinto...
 ARBANTE
 E dal rossor delle mie colpe...
 SIFALCE, ARBANTE A DUE
                                                       Io taccio.
 CLISTENE
 Ed io, in segno di affetto, ambi vi abbraccio.
 SIFALCE
 E voi pur condonate, anime illustri,
1410un delirio d’amor.
 AGARISTA, ARMIDORO A DUE
                                    L’idolo mio
 stringendo al seno ogni vendetta obblio.
 CLISTENE
 Gl’imenei fortunati
 non si ritardin più.
 ARMIDORO
                                      Vuoi tu ch’io sia
 Armidoro o Demetrio?
 AGARISTA
                                             Entrambi i nomi,
1415perché tuoi, mi son cari.
 BRENNO
 Son finiti gli affanni.
 ARMIDORO, SIFALCE A DUE
 Oh dolci pene!
 AGARISTA, ORONTA A DUE
                              Ed oh felici inganni!
 A QUATTRO
 
    Fuggite dal core,
 noiose mie pene.
 
 AGARISTA, ORONTA
 
1420   Già stringo...
 
 SIFALCE, ARMIDORO
 
                              Già annodo...
 
 A QUATTRO
 
 La candida mano...
 
 AGARISTA, ORONTA
 
 Che sola stringea...
 
 SIFALCE, ARMIDORO
 
 Che sola tenea...
 
 A QUATTRO
 
 Quest’alma in catene.
 
 Il fine degl’«Inganni felici»